Dal management alla leadership, il cambio di paradigma della Dirigenza delle Professioni Sanitarie. Intervista al Dott. TSRM Carmine Ciaralli

Dal management alla leadership, il cambio di paradigma della Dirigenza delle Professioni Sanitarie. Intervista al Dott. TSRM Carmine Ciaralli

Il lungo percorso del nostro Sistema Sanitario Nazionale passa attraverso tappe legislative che lo hanno rivoluzionato e che ancora non lo hanno concluso. Tre i momenti di svolta: la Legge 833 del 1978 che, mettendo nero su bianco l’art. 32 della Costituzione Italiana, sancisce il doppio valore della salute come diritto individuale inviolabile e assoluto e bene collettivo, ed istituisce il Servizio Sanitario Nazionale (SSN); i decreti di riordino del 1992-1993 e del 1999 che, con la trasformazione delle unità sanitarie locali (USL) in aziende sanitarie dotate di autonomia organizzativa (ASL), vogliono garantire a tutti i cittadini livelli uniformi ed essenziali di assistenza e prestazioni appropriate, assicurati dalle Regioni, tramite le aziende sanitarie e la programmazione; la Legge n. 317 del 2001 che, con il cambio di denominazione da Ministero della Sanità a Ministero della “Salute”, indica una nuova missione ed un rivoluzionario concetto di salute: “Una condizione non più di assenza di malattia ma di completo benessere fisico, mentale e sociale”.

 

IL CAMBIO DEL PARADIGMA DAL MEDICO AL PAZIENTE

Tali fondamentali premesse, nel passaggio dal ventesimo al ventunesimo secolo, hanno portato allo spostamento del focus dal medico al paziente che deve essere necessariamente abilitato alla co-produzione di salute. Il cambio di paradigma centrato sulle necessità del paziente supera le tradizionali modalità di assistenza e di prassi medica, lavora per processi ad alta integrazione multidisciplinare, riorganizza e differenzia le responsabilità cliniche e gestionali. Il cambiamento, per definizione “complesso e difficile”, mette in discussione i modelli e, prima ancora, le persone. I Professionisti sanitari sono il nodo del cambiamento: nuovi ruoli, nuove relazioni, nuove responsabilità.

 

Il processo di cosiddetta aziendalizzazione ha, di fatto, anche portato alla trasformazione del ruolo e della funzione della dirigenza, al fine di migliorare il funzionamento degli enti di erogazione delle prestazioni sanitarie. Tale obiettivo è stato perseguito, anzitutto, attraverso la coincidenza nelle figure dirigenziali di compiti manageriali, da un lato, e professionali, dall’altro.

 

La legge n. 43 del 2006 (art. 6) introduce la definizione del professionista dirigente: egli è un professionista in possesso della laurea specialistica/magistrale di cui al D.M. 2 aprile 2001 che abbia esercitato l’attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni. “Contribuisce alla definizione della mission, vision e dei valori guida dell’azienda e persegue il loro raggiungimento attraverso il razionale uso delle risorse umane e materiali disponibili. Fa in modo che sia erogata un’assistenza efficace, efficiente, di qualità, contribuisce alla formazione continua e all’aggiornamento del personale di competenza. È costantemente sotto controllo e viene valutato per i risultati ottenuti sia economici sia sanitari”.

 

L’obiettivo di ogni sistema sanitario, è, dunque, quello di migliorare e garantire la salute della popolazione. Per far ciò, è necessario esercitare alcune funzioni come la produzione di servizi sanitari, lo sviluppo di risorse professionali e non (farmaci e prodotti tecnologici), la mobilitazione e l’allocazione dei finanziamenti, e l’esercizio di leadership e governance nel presiedere i processi di un’organizzazione così tanto complessa.

 

DAL MANAGEMENT ALLA LEADERSHIP

Quanto, nell’ambito della governance sanitaria, c’è bisogno di leadership?

Lo abbiamo chiesto al Dott. Carmine Ciaralli, dirigente delle Professioni Sanitarie dell'INMI Spallanzani. «La complessità del sistema sanitario è sempre più evidente. La sua corretta organizzazione funzionale deve tener conto di processi storici, di scelte politiche, di situazioni economiche, e soprattutto di mutamenti demografici, epidemiologici e culturali. I cambiamenti che già stanno avvenendo nelle tecnologie, nelle aspettative di cittadini e pazienti, andranno guidati per fornire alla popolazione un’assistenza sanitaria di valore. Il Dirigente delle Professioni Sanitarie può essere la chiave di volta in un Sistema Sanitario centrato sul concetto di valore e di spreco, dove si deve perseguire il primo e si deve evitare il secondo, nella consapevolezza che il miglioramento della salute dei cittadini è frutto delle competenze cliniche e gestionali e non dell’aumento indiscriminato delle risorse impiegate. Un nuovo set di capacità e strumenti è necessario e deve essere definito tenendo conto della relazione tra valore ed efficienza, valore e qualità, uso ottimale delle risorse, cultura, sistema e servizi. Tale complessità impone un cambio di paradigma che traghetti direttamente dal vecchio concetto del “management” che agisce all’interno di una definita cultura a quello sempre più cogente della “leadership” che crea e cambia la cultura stessa».

 

Quali sono gli strumenti per migliorarne la qualità e la sostenibilità dei sistemi sanitari?

«Nella mia carriera, passando attraverso vari step che mi hanno portato dallo svolgimento della mia professione di TSRM in sezione, al coordinamento ed ora alla dirigenza, ho imparato che più si sale verso il vertice di un'organizzazione, più occorre una magistrale combinazione tra l'abilità a comprendere quali siano gli obiettivi raggiungibili e la capacità di motivare gli altri; centrare i traguardi aziendali, facendo in modo che sia l’intero gruppo di lavoro a contribuire ai risultati, utilizzando quelle tecnologie e procedure che si sono dimostrate efficaci, con un buon rapporto costo utilità, finalizzando il tutto alla patient-centred care. La sostenibilità dei sistemi sanitari ha il duplice obiettivo di migliorare la salute dei cittadini e di evitare l’aumento della spesa sanitaria. Ciò può essere ottenuto investendo sulla prevenzione, sulla responsabilizzazione dei cittadini a perseguire stili di vita salutari e sulla riorganizzazione dell’assistenza. Tra le risorse necessarie al funzionamento di una organizzazione sanitaria che possono essere: umane, economiche, temporali, tecnologiche e, anche, conoscitive del processo, ritengo che le politiche sul personale rappresentino un fattore strategico principale».

 

Cosa deve fare, a suo avviso, un leader per rendere possibile il salto di qualità nel fronteggiare le sfide dei sistemi sanitari?

«Prenderò in prestito la citazione dello scrittore A. De Saint Exupéry per rispondere a questa domanda: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”, prefiggendomi lo scopo di cercare sempre risposte nuove lungo il mio cammino”».

 

La gestione dell’emergenza sanitaria da poco lasciata alle spalle, cosa le ha insegnato sul fronte della necessità di dover coordinare professioni sanitarie diverse tra di loro?

«L'organizzazione rappresenta genericamente un sistema arido ed essenziale di attività coscientemente coordinate; l'organizzazione sanitaria e ciascuna sua parte richiedono, invece, chiarezza sulla ragione della loro esistenza e sui loro scopi, ossia coscienza della missione e condivisione della stessa a tutti i livelli. Se, a livello di unità operativa, riesco a coinvolgere opportunamente i miei collaboratori nella definizione o nella revisione della missione aziendale, ognuno di loro avrà contezza dell’importanza del proprio lavoro come contributo ad uno o più obiettivi dell’azienda sanitaria stessa. Definizione della missione, incorporazione dello scopo, scomposizione dei conflitti interni fanno della leadership un’attività creativa e non adattiva. La recente esperienza durante la pandemia che ha visto, in particolare, l'Istituto L. Spallanzani al centro dell'intero sistema per la gestione della malattia da Covid-19, mi porta ad affermare, oggi, con maggiore determinazione, che le politiche sul personale sono state vincenti perché fondate su un concetto di squadra in cui il corpus di conoscenze scientifiche, tipiche di ogni categoria professionale, di valori etici, morali, deontologici si sono perfettamente integrati per la realizzazione di un progetto condiviso nonostante turni di lavoro estenuanti, cambiamenti repentini nella gestione dei servizi e nell'implementazione delle procedure. Il coinvolgimento ed il giusto riconoscimento delle competenze dei miei collaboratori ha determinato quel senso d'appartenenza, quella comunione di intenti che è alla base del successo di qualsiasi attività».

 

Esiste un solo tipo di leadership?

«No, perché non esiste una figura ideale di leader. Ogni leader dovrebbe adottare un tipo di leadership a seconda della propria personalità o alternare le varie tipologie di leadership tenendo conto dei contesti e dei momenti in cui opera, degli obiettivi da raggiungere e, non ultimo, delle specifiche esigenze aziendali. La leadership non è solo la capacità di vedere il problema, bisogna esserne la soluzione, anche correndo dei rischi. È più che normale che si alternino momenti negativi e positivi nell'attività quotidiana. Personalmente parto sempre dall'assunto che se l’ideale di perfezione è una persona che non sbaglia mai, non avremo mai veri leader né veri gruppi, ma un leader carismatico deve riuscire, nonostante tutto, a tenere le redini e guardare avanti con il giusto ottimismo, e, per il bene dell’azienda, comprende anche la necessità di selezionare talenti, ispirarli e lasciarli esprimere al meglio, senza avere timore che abbiano successo. Tutto questo è suffragato dalla crescente necessità di operare a risorse scarse che ci impone pratiche non più finalizzate a individuare chi sono i talenti, ma quali sono i talenti di ciascuno attraverso una comunicazione efficace, chiara e votata all’ottimizzazione dei rapporti con la squadra».

Quali sfide e quali prospettive per una figura, come quella del Dirigente delle Professioni Sanitarie, che dovrà essere in grado di influenzare le politiche di sanità pubblica, l’allocazione delle risorse economiche, e non solo economiche, all’interno dei sistemi?

«Innanzitutto, bisogna acquisire un approccio di sistema: pensare globalmente per agire localmente con efficacia ed efficienza. Ogni elemento dell’organizzazione è gestito più facilmente se visto come parte del sistema. Lo studio delle funzioni del corpo umano include lo studio di vari sistemi, ma il risultato finale è dovuto non solo alla sommatoria dei singoli sistemi, quanto invece a tutto questo combinato alle interazioni tra essi. Allo stesso modo, la presa in carico, la diagnosi, la cura e la dimissione dei pazienti, la predisposizione del budget, la fornitura di farmaci e attrezzature, la selezione del personale, il sistema informativo, sono solo alcuni degli elementi di una organizzazione sanitaria. Immaginando di essere un’orchestra: che brano vogliamo suonare ora in questo gruppo? Qualunque sia il brano da riprodurre, un buon leader, come il direttore d'orchestra, sa quando dare istruzioni rapide, ordini, e quando è il momento di ascoltare, di soppesare, di entrare in empatia; tiene il giusto ritmo, da un lato una continuità di ricerca di strumenti adeguati, una cadenza precisa nella elaborazione di protocolli idonei, dall’altro pause ragionate, momenti di riflessione e di incontro. Coerenza tra obiettivi dichiarati, azioni intraprese e risultato come spartito sul leggio di ogni maestro di musica che il direttore di orchestra trasforma in una sinfonia di successo!».

 

Dott.ssa Cinzia Romano