Ruolo e sentimenti del logopedista durante la pandemia di Covid-19: intervista a tre logopedisti impiegati in fase acuta

Ruolo e sentimenti del logopedista durante la pandemia di Covid-19: intervista a tre logopedisti impiegati in fase acuta

Smarrimento e paura le sensazioni prevalenti, mentre verso i DPI c’è stato “amore-odio”. Tutti hanno riconosciuto l’importanza di avere Linee Guida e del lavoro in team con gli altri professionisti sanitari. Le interviste ad Antonio Amitrano (San Camillo Forlanini), Giuseppe Mancini (Ospedale di Tivoli) e Patrizia Marroni (Policlinico Tor Vergata)

 

La malattia da nuovo Coronavirus ha prodotto una situazione di emergenza sanitaria unica nel suo genere e di fronte alla quale nessun professionista della salute si è sottratto. Il logopedista ha avuto, e continua ad avere, un ruolo essenziale su tutti i fronti, sia in terapia intensiva che nella fase post-acuta, nella valutazione della funzionalità deglutitoria e nell’adozione di strategie di CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) per favorire la comunicazione in pazienti anche solo temporaneamente impossibilitati ad utilizzare i normali canali comunicativi.

I logopedisti che sono impegnati in prima linea nella lotta al Coronavirus si trovano a lavorare con pazienti complessi, affetti da patologie multisistemiche, e con quadri clinici molto vari per i quali è necessario adottare strategie riabilitative diverse. Molti sono ricoverati in reparti di terapia intensive e sub-intensiva e sottoposti ad una più o meno lunga intubazione orotracheale, procedura che può determinare PED (post extubation dysphagia).

La CdA dei Logopedisti di Roma ha intervistato il dottor Antonio Amitrano (Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini), il dottor Giuseppe Mancini (Ospedale di Tivoli) e la dottoressa Patrizia Marroni (Policlinico Tor Vergata), colleghi logopedisti che hanno accettato l'invito di lasciare una testimonianza della rilevanza della nostra professione in un momento come questo.

Da tutte le interviste emerge l’unanime lo smarrimento, provocato, come sottolinea il dottor Mancini, sia «dalla velocità con cui progredisce la malattia che non dà il tempo agli operatori né di una presa in carico né tanto meno di un intervento più strutturato», sia dall'impossibilità di far riferimento ad esperienze pregresse o Linee Guida specifiche.  

È emerso, soprattutto lavorando con i primi casi di Covid, quanto sia importante e rassicurante per il professionista avere a disposizione delle Linee Guida, strumenti indispensabili per assicurare la qualità e la sicurezza delle prestazioni, i migliori risultati in termini di salute e qualità di vita ai cittadini e l'uso efficiente delle risorse. «Le prime valutazioni della disfagia in pazienti Covid sono state eseguite sulla scorta dell’esperienza personale – afferma il dottor Amitrano -. Da ricordare inoltre che, almeno nella mia realtà ma credo sia esperienza generale, non è stato possibile effettuare una valutazione strumentale della disfagia». Il dottor Mancini guarda al presente fiducioso: «Ora probabilmente sapremmo meglio come muoverci. Ci stiamo confrontando con molti colleghi per capire il funzionamento e quello che provoca esattamente».

Il logopedista si è trovato a dover far affidamento sulle proprie capacità professionali e su quelle dei colleghi appartenenti a diverse professioni sanitarie: «In questo periodo, più che in altri, si è confermata l'importanza dell'intervento multidisciplinare», afferma la dottoressa Marroni. «Con le altre professioni sanitarie c’è stata una condivisione sul campo. L’esperienza in qualche modo ha agevolato la collaborazione, più di una volta mi sono trovato a dirigere dalla zona filtro medici, che già si trovavano a letto del paziente, per l’esecuzione delle manovre necessarie per la valutazione della deglutizione», racconta il dottor Amitrano. 

Mai come in questo periodo delicato lavorare in team ha favorito il raggiungimento di obiettivi condivisi, tutelando il professionista da eventuali rischi di isolamento e di burnout.

Altro punto di incontro delle esperienze raccolte è indubbiamente il disagio di lavorare con i numerosi DPI: il logopedista deve conoscerne le caratteristiche ed essere in grado di usare tali dispositivi destinati alla protezione da rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la sua salute durante il lavoro. Il logopedista, infatti, è tra gli operatori sanitari maggiormente esposti perché molte attività specifiche del lavoro generano aerosol (si pensi al lavoro sulla respirazione o all'esposizione ad un colpo di tosse se il paziente è disfagico). Per la dottoressa Marroni i DPI hanno permesso di abbassare il livello di stress e di insicurezza, il dottor Mancini invece ha definito con questi un «rapporto di amore/odio»: amore perché unico modo di tenere alla larga “la bestia”, ma odio perché «scomodi, di impaccio, divenuti ultimo strato della pelle che non vedevi l'ora di togliere». Il dottor Amitrano infine sottolinea come i DPI siano stati fonte di stress, in particolare «la vestizione e successiva svestizione è lunga ed eseguita sempre sotto la tensione costante di far un passaggio sbagliato, vanificando il corretto uso dei medesimi». 

I sentimenti che hanno accompagnato i colleghi in questi ultimi mesi sono stati molteplici ed altalenanti, ma tutti confluiscono nella grande forza d’animo che serve per continuare a combattere la battaglia contro il Coronavirus. «All’inizio c’è stato molto smarrimento ma molta voglia di fare, di affrontare, di sapere e risolvere. […]. Nei reparti quando ti guardi intorno e incroci gli sguardi con i colleghi, che spesso non riconosci, ti monta solo la voglia di superare l’incubo. […]. In sanità siamo abituati a combattere le malattie ma questa è sembrata troppo e tutto insieme», rivela il dottor Mancini.

La paura è preponderante, confessano tutti nelle interviste. In primis di essere contagiati, avendo a che fare continuamente con un ambiente contaminato: «A un certo punto sembrava che tutto e tutti intorno a te potessero essere fonte di contagio» spiega il dottor Mancini. Ma anche di contagiare i proprio cari «verso i quali in ambiente domestico ho ritenuto giusto una forma di distanziamento, sottolinea Amitrano. La paura spesso era accompagnata da ansia e preoccupazione, instaurando un circolo vizioso tale per cui «lavorare con l'ansia porta al nervosismo, all'imprecisione, forse alla voglia di finire presto», confessa il dottor Mancini.

I colleghi ammettono inoltre che un altro sentimento travolgente che li ha accompagnati è stata la pietà «verso pazienti sofferenti e prostrati dalla malattia e dal lungo isolamento» (Amitrano), per il paziente «isolato e 'solo' per il mancato accesso della famiglia in ospedale», spiega la dottoressa Marroni.

Gli specialisti, oltre a raccontare la propria esperienza, vogliono far riflettere e sensibilizzare: il dottor Mancini rivolgendosi ai colleghi invita a «parlarne da un punto di vista organizzativo e clinico, ma anche emotivo perchè un segno, e non solo quello delle mascherine, rimarrà a lungo», mentre il dottor Amitrano, guardando alla collettività, vuole sottolineare come sia necessario «condividere e trasmettere a tutti i cittadini che non hanno vissuto un’esperienza diretta con il Covid, la speranza di non vedere vanificato il sacrificio di tanti operatori sanitari che a volte, a carissimo prezzo, hanno pagato il proprio impegno». 

La raccolta di queste testimonianze ci farà sicuramente riflettere. Tutte hanno in comune una sola parola: la passione per la professione.

Come tutti gli operatori sanitari, anche i Logopedisti sono in prima linea e devono sostenere il peso dello stress e della fatica. Professionisti che hanno sempre cercato di fare bene il proprio lavoro e che continuano a regalare un sorriso ai pazienti anche se dietro ad una mascherina. 

 

CdA Logopedisti Roma